Mi chiamo Gianna e ho una storia da raccontarvi.
Ero una giovanissima imprenditrice e le cose mi giravano bene. Molto bene, tanto che a trentadue anni potevo permettermi di comprare casa senza mutuo. Avevo un discreto budget per l’acquisto e altrettanto per un’eventuale ristrutturazione. Cresciuta in una casa di campagna, volevo sperimentare l’ebbrezza del condominio (che nella mia fantasia somigliava a Melrose place, giusto per essere onesta) e puntai un attico.
Volevo una bella vista, ampi spazi, tre o quattro camere (una per la tata con annesso bagno e guardaroba), terrazze, bagni padronali e un living da almeno cinquanta metri, col camino, in zona centrale ma non a traffico limitato. Guidavo una A6, station, e avevo un marito con un Suv e un figliolino con due bici: quindi mi servivano almeno due garage, possibilmente doppi.
Avevo le idee chiare e le risorse per trasformarle in una nuova – PERFETTA – residenza.
Poiché mi ritenevo abbastanza evoluta per fare da sola, organizzai il lavoro in azienda in modo che il mio staff procedesse senza di me per un paio di mesi. Selezionati gli annunci online di un centinaio di case, preparai un file Excel e iniziai la mia ricerca.
Dei 100 potenziali immobili molti furono scartati sulla soglia; altrettanti già nel cercare parcheggio e un numero imprecisato a pochi secondi dal “permesso”, per non parlare delle telefonate preliminari chiuse con un “Grazie, lasci stare”. In otto settimane visitai comunque più di cento case.
Due mesi dopo, esasperata, visitai un attico proposto da un conoscente. Il conoscente aveva sentito che stavo cercando casa, sapeva che gli affari giravano e riteneva che l’attico fosse in linea con le mie risorse/aspettative.
Entrai e dissi l’ultima cosa che un compratore dovrebbe dire a un venditore: «La compro.» Non trattai, non controllai, non verificai, anzi, a dirla tutta, litigai addirittura con quella parte della mia famiglia che tentò (inutilmente) di farmi ragionare.
A quel punto ero distrutta. Non ne potevo più. Durante la ricerca, in due mesi avevo perso circa duecento kappa di fatturato, pari a 60 k di mark up, accumulando nel frattempo 5 giga di foto, filmati, schede e file sulle oltre cento possibili abitazioni visitate. Ero arrabbiata, ero stanca, uno straccio. E i tailleur cominciavano a starmi stretti (quando sono nervosa, mangio, tipo trita-rifiuti).
Non so se fosse per la stanchezza, o l’incazzatura o per il mancato fatturato (o tutte e tre le cose insieme), ma decisi di comprare l’attico senza alcuna verifica.
Otto mesi più tardi, a ristrutturazione finita e budget doppiato, entrai nella mia nuova casa.
Nei quattro anni che seguirono, l’attico si allagò tre volte per un problema alle tubature condominiali, costandomi soldi, tanti soldi, e tanti tantissimi giramenti a elica. Non solo, la vita da Melrose Place che mi ero immaginata si rivelò tutta fuffa (vedi post Malefica).
Misi in vendita l’attico, in un momento di minimo storico del mercato immobiliare. Quando chiusi il rogito con il mio compratore e tirai una somma, quasi svenni: non solo avevo una minusvalenza di 200 k tra acquisto, ristrutturazione e vendita, ma avevo anche un mancato guadagno di un sessantino abbondante da sommare alla perdita.
Con il senno di poi, riempita la fossa, oggi posso dire che avrei potuto evitare tutti quei mal di pancia. Magari non le perdite, che i soldi – cari miei – vanno e vengono, ma di sicuro i giramenti, la rabbia, il nervosismo e la catena di concause che da una scelta sbagliata condussero alla successiva.
Dove avevo sbagliato?
Uno.
Avevo scelto di arrangiarmi (sono brava, sono sveglia, sono una super-confident WonderWoman: figuriamoci se mi serve un agente, pensavo, da fanta-manager illusa).
Due.
Avevo comprato d’impulso, da sola e senza verificare (vedi uno e pure tre).
Tre.
Non sapevo che esistesse una figura diversa dall’agente immobiliare modello base; che dietro le parole inglesi “PROPERTY FINDER” ci potessero essere persone e ruoli e competenze lontanissime dai venditori sgrammaticati e farlocchi che avevo incontrato, persone e ruoli e competenze che sarei stata STRAFELICE di pagare. Se solo avessi saputo della loro esistenza…
Tirando le somme, da sola avevo fatto casino, causato un calo del fatturato pari a circa duecentomila euro in sessanta giorni, e un mancato guadagno di 60, comprato male (la casa sbagliata), ristrutturato malissimo e venduto peggio (esasperata da allagamenti e vicinato).
Se invece avessi arruolato un PF, a fronte di 32,5 k di provvigione, pari a poco più della metà del mancato ricavo causato dal decremento di fatturato, avrei scelto la casa giusta e oggi, a otto anni dal rogito d’acquisto e quattro dalla vendita, non mi sentirei tanto scema.
Per fortuna, mi dico, coccolando il mio alibi come un gattino di peluche, ora so che i PF esistono.
Quanto al passato: né la legge né il mercato immobiliare tollerano l’ignoranza.
Quindi, se stai cercando casa, non fare come me, chiama un Property Finder.
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